Natale 1972. In quei giorni di festa, come spesso accadeva, nella casa veneziana di Franco Basaglia e Franca Ongaro si riunivano artisti, donne e uomini della cultura e della politica.

In quell’occasione Franco propone al cugino Vittorio Basaglia e a Giuliano Scabbia di realizzare un lavoro collettivo nell’ospedale psichiatrico San Giovanni a Trieste dove dal 1971 lui era direttore.

Così nei primi giorni del 1973 nasce il “Laboratorio P”, progetto a cui aderiscono via via altre figure professionali che mettono a disposizione le proprie competenze.

In questo spazio creativo si stimolano i pazienti del manicomio a esprimersi, si raccolgono storie e si cerca di dargli una forma.

Una di queste storie riguarda un cavallo, quello che per anni aveva trascinato il carretto dei panni sporchi del manicomio da portare a lavare e che ormai anziano viene sostituito da un motocarro e destinato al macello. Il ronzino era diventato per tutti “uno di famiglia” e veniva chiamato Marco. I ricoverati si erano affezionati all’animale e per questo decisero di scrivere al presidente della provincia Zanetti per salvargli la vita. L’equino viene così graziato e diventa il simbolo della rivalsa dei reietti.

Nel laboratorio le sue avventure all’inizio vengono rappresentate con delle semplici marionette di carta: narrazioni in cui diventa il paladino che difende i più deboli. In questi racconti i nemici sono personaggi antiquati e superbi che privano i protagonisti dei loro affetti.

Marco Cavallo è l’eroe inaspettato, che protegge chi non riesce a farlo da sé.

Diventa facile per gli ospiti immedesimarsi in quei racconti e si decide insieme di costruire una scultura di cartapesta per rendere ancora più autentico questo personaggio.

Si alternano vivaci discussioni su cosa dovrà fare e si inizia a immaginare una passeggiata all’esterno dell’istituto. Si progetta anche uno sportellino sulla pancia creando uno spazio dove poter inserire degli oggetti. Nasce così un cavallo di Troia inverso, che invece di avere lo scopo di portare dentro qualcosa/qualcuno abbia la funzione di portare fuori. Così nella pancia del ronzino finisco vari oggetti personali, pensieri, desideri, …persino un orologio!

Viene fatta anche una votazione per deciderne il colore: l’opera sarà azzurra!

La scultura è imponente: è alta ben 4 metri!

L’entusiasmo è palpabile. Anche i pazienti più timorosi vogliono accompagnare Marco Cavallo nella sua prima uscita e per giorni non si parla d’altro, non solo nel Laboratorio P ma anche negli altri spazi della struttura.

Viene decisa la data, il 25, l’ultima domenica di febbraio.

C’è il sole e nonostante sia ancora inverno non fa eccessivamente freddo. Sembra tutto perfetto: le persone visibilmente emozionate indossano il vestito buono, quello delle giornate di festa.

Ma qualcosa va storto. La struttura del manicomio è stata pensata per tenere dentro le persone, non certo per farle uscire. Non è stata progettata per far passare un cavallo enorme: il cancello principale ha infatti una traversa orizzontale posta a poco più di due metri d’altezza.

Marco Cavallo non può andarsene, è di nuovo in gabbia.

Lo sconforto prende in fretta il sopravvento sul precedente entusiasmo: c’è chi si dispera e grida, chi piange, altri che restano taciturni in diparte. Sembra quasi di sentire anche il nitrire agitato di Marco Cavallo per quella libertà negata.

Franco Basaglia e il cugino Vittorio prendono allora una decisione che cambierà per sempre la storia: viene strappata dal terreno una panchina di ghisa e con questa sfondano letteralmente i cancelli dell’istituto. La struttura cede e si apre una breccia.

Marco Cavallo è finalmente libero, e con lui il centinaio di persone che quel giorno lo accompagnarono per le strade di Trieste: non solo pazienti ma anche il personale del manicomio.

Cinque anni dopo il parlamento italiano varera la Legge 180, comunemente detta “Basaglia”, che prescrive la chiusura degli ospedali psichiatrici.

Marco Cavallo resta il simbolo della libertà degli ultimi, in particolare delle persone con disagio mentale e del loro diritto di poter stare insieme agli altri in un aperto scambio sociale.