Perché parliamo di comunicazione. La comunicazione è quello strumento che ci permette di entrare in relazione con gli altri. Stare in relazione è un bisogno fondamentale dell’essere umano. Allora, al di là di quale mezzo usiamo per comunicare con l’altro (di persona, cellulare, pc, ecc…), è opportuno prestarci attenzione in modo che le interazioni possano essere vivaci, creative e stimolanti invece di essere puntate alla sofferenza, all’ansia, all’individualismo che oggi spesso le caratterizza. 

Prima di parlare di dettagli più pratici vorrei che ci concentrassimo su alcuni presupposti che sottendono l’importanza di saper comunicare e realizzare scambi positivi ed efficaci:

  1. Presupposto del benessere: con questo principio si intende la possibilità di vivere meglio non solo perché coltiviamo la relazione con l’altro, ma perché questa ci permette di definire la nostra identità alimentando il benessere psicologico.
  2. Presupposto della complessità: La comunicazione è un fenomeno più complesso di quello che può sembrare. Il linguaggio è qualcosa di familiare, di quotidiano, per cui tendiamo a non fare attenzione alla sua essenza. Spesso ci accade di non utilizzare le sue immense potenzialità soprattutto nell’ambito della comunicazione non verbale. Il paradosso della comunicazione non verbale è che tutti la adoperiamo senza rendercene conto, tutti noi “parliamo”, per così dire il linguaggio del corpo, ma non ne siamo assolutamente consapevoli e soprattutto non abbiamo imparato a «leggerlo» negli altri ed in noi stessi. Questo porta naturalmente a delle forti limitazioni nella comunicazione interpersonale.
  3. Presupposto dell’apprendimento: La capacità di comunicare efficacemente può essere appresa. la nostra società pone molta enfasi sul concetto di comunicazione anche per l’espansione impressionante delle tecnologie dell’informazione (cellulari sempre più sofisticati, Internet, webcam, ecc…), ma ci si dimentica di sviluppare le competenze comunicative, che non si acquisiscono in modo “naturale” come il linguaggio durante l’infanzia, ma necessitano di sviluppo soprattutto nell’età matura. Nei primi due-tre anni di vita impariamo a parlare, il resto della vita serve ad imparare ad ascoltare e a comunicare.

Ci aspettiamo (illudendoci) che siano gli altri a dover indovinare i nostri desideri inespressi. Quest’illusione affonda le sue radici nell’infanzia quando erano i genitori a dover intuire e soddisfare i nostri bisogni. Questa sorta di “pensiero magico” si protrae anche nell’età adulta e, nei casi più gravi, può dar luogo a vere e proprie patologie. Il presente articolo costituisce un primo passo verso la comprensione dei meccanismi che sono alla base della comunicazione. Non ha la pretesa di essere un’opera esaustiva sul tema da un punto di vista teorico. Si propone invece di presentare delle strategie pratiche ed immediatamente applicabili nella vita quotidiana per migliorare la comunicazione con noi stessi e con gli altri.

Primo segreto: comunicare con sé stessi

La prima tappa della comunicazione non poteva che essere noi stessi. È molto difficile comprendere gli altri, i loro problemi, il loro sentimenti e stati d’animo se non siamo in grado di riconoscere questi aspetti in noi stessi. Tutte le relazioni che instauriamo dipendono dalla armonia presente all’interno della nostra personalità. Il modo in cui trattiamo gli altri è il riflesso del modo in cui trattiamo noi stessi. Più riusciamo a conciliare dentro di noi esigenze e credenze in conflitto, più facile ci sarà comunicare con gli altri e sviluppare delle relazioni positive con loro. Sviluppare la nostra comunicazione intrapersonale significa prestare attenzione al rapporto esistente tra le diverse componenti della nostra natura (il corpo, le emozioni, la mente, la spiritualità). Le persone che hanno una “intelligenza intrapersonale” sviluppata (Gadner e “le intelligenze multiple”) è consapevole della variegata gamma delle sue emozioni; trova i modi per esprimere i suoi sentimenti e pensieri; sviluppa un modello accurato di sé; è motivata ad identificare e conseguire i suoi obiettivi; lavora in modo indipendente; ha a cuore in generale la sua crescita e sviluppo personale.

Cinque atteggiamenti da evitare nella comunicazione con noi stessi

Vorrei illustrare cinque diversi atteggiamenti da evitare quando parliamo con noi stessi. Riconoscerli significa compiere il primo passo verso il miglioramento del dialogo che abbiamo con noi stessi o monologo interiore. Vediamoli qui in dettaglio:

  • Focalizzarsi sul problema: questa è l’essenza del lamento. Ci identifichiamo con il problema, non con la soluzione. È invece opportuno presupporre che molti problemi abbiano una soluzione e chiedersi: ”Come voglio che questa situazione cambi?”  
  • Catastrofizzare: ogni situazione negativa che ci si presenta è un orribile disastro. Invece bisogna essere più realistici nelle valutazioni e non allarmarsi inutilmente. È vero che accadono ogni giorno imprevisti, eventi sfortunati, errori, ma non ma non necessariamente si tratta di traumi, tragedie o disastri.
  •  Aspettarsi il peggio: “E se non le piaccio? E se non supero quell’esame?”. Aspettarsi il peggio non ci aiuta affatto a comportarci in modo efficace, ma stimola solo l’ansia. Invece, formulate delle domande che presuppongano un risultato positivo, ad esempio “Come posso fare una buona impressione? Come posso preparami al meglio per l’esame?” 
  •  Pensare per stereotipi: incasellando gli altri (e noi stessi) in categorie preconcette, evitiamo di pensare alla gente in termini di individui distinti. Ciò porta a relazioni innaturali, e ci conferisce un immeritato senso di superiorità o inferiorità, privandoci inoltre della possibilità di conoscere e comprendere i lati migliori di coloro che sono oggetto dei nostri pregiudizi. Invece è necessario ricordarsi che siamo tutti esseri umani, con personalità uniche, ciascuno con i suoi pregi e difetti. 
  • Pensare in termini di doveri: “dovrei”, “sarebbe necessario”, “devo”, “è opportuno che…” sono tutte espressioni che sono usate eccessivamente ed in modo sconsiderato, presuppongono delle regole e degli standard di comportamento che non esistono nella realtà. Implicano generalmente delle conseguenze negative se non ci si adegua. Questo è del tutto plausibile nel caso in cui si “debba” rispettare i limiti di velocità sulle strade o pagare altrimenti una multa. Il problema sorge però quando questo tipo di ragionamento si applica anche ad altre situazioni di vita che non lo richiederebbero affatto, come quando diciamo a noi stessi “dovrei essere più intelligente” o “a quest’età dovrei già essere sposata”. In questi casi è necessario sostituire la parola “dovrei” con la parola “potrei”, dando così a noi stessi una possibilità di scelta.

Ti proponiamo qui di seguito un semplice esercizio, dal titolo “Sorridere a se stessi”. 

Obiettivo dell’esercizio: sviluppare empatia verso sé stessi. 

Procedura: Con gli occhi chiusi inspira ed espira profondamente per un paio di volte. Riprendi poi a respirare come sempre e accogli tutte le sensazioni che provengono dal tuo corpo. In particolare, diventa consapevole dei piedi, delle gambe, del bacino, delle braccia, del torace ed infine del volto. Comincia a questo punto a sorridere, come fai sempre quando sorridi a qualcuno, ma in questo caso rivolgi il sorriso a te stesso/a.

Prova poi a divenire serio/a in volto: noti dei cambiamenti nel suo stato interiore? 

Prova poi a divenire infuriato in volto: avverti dei cambiamenti nel tuo stato interiore? 

Torna nuovamente a sorridere e diventa di nuovo consapevole delle sensazioni interiori che il sorriso produce in te.

Secondo segreto: saper formulare critiche costruttive

Gli aspetti che abbiamo appreso nei suggerimenti verso il nostro dialogo interiore, nell’articolo precedente, naturalmente si riversano verso la relazione con l’altro. Le cose si complicano, però, quando dobbiamo esprimere all’altro qualcosa che non ci piace (farei attenzione anche a come lo facciamo con noi stessi, alcuni di noi sono bravissimi a criticarsi) e ci aspettiamo che quel comportamento si modifichi. Le critiche che rivolgiamo agli altri diventano costruttive solo se si riferiscono a specifici comportamenti (non giudicherò il valore della persona), che ci aspettiamo che gli altri modifichino e/o mettano in pratica. In sostanza, attraverso questo genere di critiche spieghiamo agli altri come esattamente possono modificare il loro atteggiamento per renderlo più in sintonia con i nostri desideri o esigenze. Lo scopo di una critica costruttiva NON è:

 -ferire l’altro;

 -indebolirlo;

 -attribuirgli etichette negative;

 -colpevolizzarlo; 

-difendersi nel caso ci si senta vulnerabili;

 -vendicarsi;

 -dare sfogo alle proprie frustrazioni, ecc… 

Non bisogna quindi assolutamente utilizzare le critiche come un’arma in situazioni di forte emotività, ma come un’occasione di crescita e miglioramento della nostra relazione con gli altri

Dieci atteggiamenti da evitare assolutamente nel formulare delle critiche:

  • Criticare l’altro in pubblico. La presenza di altre persone può indurre negli altri ansia, imbarazzo, vergogna o anche rabbia e renderli pertanto meno ricettivi verso gli aspetti positivi delle nostre critiche. 
  • Fare una critica in risposta ad un’altra critica o durante un litigio. Questo non fa che “surriscaldare” inutilmente la conversazione, creando una spirale di attacchi e difese, che non aiutano assolutamente l’altro a migliorare. 
  • Fare una critica in un momento poco adatto. Ad esempio, quando gli altri non sono nello stato d’animo di recepirle.
  •  Fare più critiche contemporaneamente. Meglio concentrasi su di un unico argomento per volta. Diversamente, gli altri potrebbero sentirsi “aggrediti” e disposti a contrattaccare. 
  • Formulare critiche che contengano generalizzazioni eccessive (“mai”, “sempre”, “niente”, “tutto”). Come ad esempio “Non mi accontenti mai” “Con il tuo atteggiamento rovini sempre tutto” ecc…queste critiche sono vaghe e comunicano solo il risentimento della persona che le formula. È preferibile indicare pacatamente lo specifico problema o situazione che si è creata.
  • Criticare la persona e non il comportamento. Etichette negative del tipo “sei il solito egoista” “sei un buono a nulla” “sei falso” servono solo ad indebolire l’autostima degli altri e non a favorire un cambiamento. In quanto rivolte alla persona nella sua globalità sono offensive, poiché chi le riceve si sente probabilmente ferito o offeso; sono inoltre generiche, in quanto non è specificato il comportamento/atteggiamento da correggere. 
  • Dimostrare incomprensione verso le difficoltà che hanno gli altri nel recepire la nostra critica. In particolare, è necessario rendere quanto più specifica la critica; tollerare un iniziale atteggiamento difensivo da parte del nostro interlocutore; per il resto, non aspettarsi che l’altro ammetta esplicitamente i propri sbagli e cambi completamente in tempi troppo rapidi.
  • Criticare aspetti che gli altri non possano controllare. Il fatto, ad esempio, che un nostro amico sia troppo alto/basso, abbia una famiglia che non ci piace, sia troppo estroverso/introverso, troppo emotivo o troppo riservato ecc…non è certo sotto il suo controllo, e quindi è perfettamente inutile criticarlo per questo. Ugualmente non ha senso criticare il nostro amico per qualcosa che ha compiuto in passato, e che per questo non si può più correggere. Formulare critiche su aspetti/avvenimenti che non si possono cambiare contribuisce solo a mortificare l’altro.
  • Usare dei messaggi-tu. Un esempio di messaggio-tu è “Non parlarmi più in questo modo”. In questo caso l’enfasi è sull’errore dell’altro. Proviamo ora a riformulare la frase usando un messaggio-io: “Se ti rivolgi a me gridando mi innervosisco”. Come si vede in questa seconda critica l’enfasi è posta più sul nostro stato d’animo. I messaggi-tu sono spesso accusatori, enfatizzano le mancanze dell’altro o impongono regole, ma tutto ciò spesso non serve a far “cambiare” l’altro. Nel messaggio-io, invece, non si chiede agli altri di comportarsi nel modo più “giusto” in assoluto, ma si chiede semplicemente di non fare ciò che ci infastidisce e di comportarsi in modo più consono alle nostre esigenze. 
  • Formulare la nostra critica usando il tono sbagliato. Esprimere sentimenti di rabbia, ostilità, disprezzo o disapprovazione attraverso il tono ed il volume della voce, le espressioni facciali, il movimento e la postura non depone certo a favore dell’efficacia della nostra critica. Per facilitare la ricezione del nostro messaggio è opportuno usare un volume di voce non elevato, un tono che dimostri cortesia, apertura e disponibilità al dialogo, un’espressione facciale serena ed una postura rilassata. Se questo non fosse possibile, sarebbe meglio rinviare la critica a quando si saranno “calmate le acque”.

Questo è noto all’interno della comunicazione assertiva metodo ABC. “A” sta ad indicare il comportamento specifico del nostro interlocutore che ci ha infastidito, “B” è il nostro stato d’animo come conseguenza del comportamento dell’altro (si tratta di un messaggio-io), “C” è invece il suggerimento che diamo all’altro su come ci aspettiamo che si comporti la prossima volta.

ESERCIZIO…..

Terzo segreto: il linguaggio del corpo

Secondo lo psicologo americano Albert Meherabian, l’impatto di un messaggio comunicativo è per il 55% non verbale, per il 38% vocale e solo per il rimanente 7% verbale. 

Si definisce Comunicazione Non Verbale quella parte dell’interazione che non è costituita dal contenuto del discorso e dal senso delle parole, ma che invece è caratterizzata da gesti, posture, microespressioni facciali, orientamento del corpo, tono e ritmo della voce, sguardo.

Un piccolo esempio: se mentre qualcuno sta parlando noi sbadigliamo, l’altro percepirà disinteresse e noia, anche se lo sbadiglio è dettato da stanchezza. Oppure, se rispondiamo con un tono di voce aggressivo perché siamo tesi per qualcosa che non ha nulla a che fare con la persona con cui stiamo comunicando, ovviamente, il nostro interlocutore si sentirà aggredito e reagirà di conseguenza.

Questo ci fa riflettere su quanto ignoriamo l’importanza della comunicazione non verbale, cioè l’insieme di strumenti che formano la parte sommersa dell’”iceberg” della comunicazione.

La particolarità del linguaggio del corpo è la sua doppia natura, sia appreso, sia innato. Una parte del linguaggio del corpo è infatti comune a tutta l’umanità, un’altra parte dipende dal luogo e dalla cultura d’origine. Ad esempio, alcune espressioni facciali (come il sorriso che indica contentezza ed il broncio che indica dispiacere) sono praticamente universali. Tali gesti sono in realtà degli istinti radicati – dei segnali inviati direttamente dal paleo-encefalo ai muscoli facciali. Di conseguenza, non ci sono molte possibilità di modificare queste espressioni, tanto è vero che le si può osservare in tutte le culture del mondo. L’ idea secondo cui alcune forme di comunicazione non verbale siano comuni a tutta l’umanità risale addirittura a Darwin – ciò a riprova del fatto che l’interesse per il linguaggio del corpo risale ai primi dell’800. 


Tipi di comunicazione non verbale

LO SGUARDO

Strumento fondamentale per instaurare relazioni e manifestare atteggiamenti. I bambini, ad esempio, credono di non essere visti se non guardano, il loro vedere è un atto per mostrarsi agli altri.

Anche tra gli adulti, rivolgere lo sguardo verso una persona è inteso come un segnale di interesse e anche quando avviene in modo del tutto casuale, ricambiare lo sguardo dimostra volontà di interazione, mentre, si distoglie lo sguardo se si vuole rifiutare il rapporto.

Il contatto oculare, inoltre, è un segnale legato all’intimità e all’attivazione fisiologica; infatti, uno sguardo persistente verso una persona che non ricambia tali attenzioni, diviene spiacevole.

Il contatto oculare tra due persone funge quindi da regolatore della conversazione: chi parla osserva gli occhi dell’interlocutore per avere conferma di essere ascoltato o compreso, quando ciò non avviene prova un forte disagio ed imbarazzo perché non è più sicuro del feedback che sta ricevendo dall’ascoltatore.

ESPRESSIONE FACCIALE 

Le espressioni facciali sono uno dei principali e più affidabili indizi non verbali nella comunicazione. Pensa alla differenza tra una persona che sorride rispetto a una che sbadiglia. Molta attenzione è stata dedicata alla analisi delle emozioni tramite le espressioni facciali. Le emozioni come felicità, tristezza, sorpresa, paura, rabbia, disgusto e disprezzo sono innate e vengono espresse in tutto il mondo allo stesso modo. Molto spesso però le persone cercano di adattare queste espressioni in base a ciò che ritengono socialmente accettabile.

Espressioni di felicità, tristezza, sorpresa, paura, rabbia e disgusto.

GESTI

I gesti sono un importante aiuto nella comunicazione. Alcuni studi mostrano come persone che usano le stesse parole per spiegare qualcosa, sono più efficaci se usano le mani invece di tenerle ferme.

I gesti possono essere utilizzati per sottolineare il messaggio verbale ma possono anche avere un loro significato. Il significato di molti gesti è relativo alla cultura di riferimento.

Questo gesto significa ‘bene’ per gli occidentali, ‘cinque’ per i giapponesi, ‘va a quel paese’ per i greci e ‘uno’ in Italia.

IL PARALINGUAGGIO

Rappresenta la componente vocale del linguaggio composta da elementi differenti dal contenuto verbale. Tra questi l’intonazione, il ritmo, la durata, l’accento e i tratti più propriamente paralinguistici come la voce ed il timbro utilizzato. Tutti questi incidono fortemente sul messaggio che viene comunicato.

MOVIMENTI DEL CORPO E POSTURA

Se è vero che i movimenti del corpo e la postura possono dare molte informazioni, è anche vero che vanno sempre letti nel contesto. La cultura popolare e molti formatori si sono dedicati a un’interpretazione eccessiva di questi indizi. Spesso partendo da loro ipotesi che non sono mai state verificate.

Stai attento a non focalizzarti troppo su alcuni movimenti come incrociare le braccia o le gambe, muovere le braccia o la testa. Interpretando troppo questi comportamenti rischi di fare errori. Inoltre, finché presti attenzione a cercare di decodificare chi hai davanti, non sei presente nella comunicazione con l’altro e questo ti porterà a non capire le altre persone.

PROSSEMICA

Prova a immaginare una persona che ti ferma per un’indicazione per strada e si mette a pochi centimetri da te. Senti alcune parti del vostro corpo che si toccano e il suo sguardo a pochi centimetri di distanza. Verosimilmente ti sposti subito indietro perché appena entra nel tuo spazio personale ti inizi a sentire a disagio. La prossemica studia proprio questi spazi. Sono indizi importanti che vengono influenzati dalla cultura di appartenenza, dalle norme sociali, dalla familiarità tra le persone e anche da dalla loro personalità. Solitamente, gli sconosciuti stanno più lontani di chi si conosce.

Ovviamente anche il contesto ha un ruolo importante, la stessa persona che ti sta molto vicina mostrerebbe un comportamento accettato in una metropolitana all’ora di punta.


Come interpretare il linguaggio non verbale

Consiglio numero 1: leggi i gesti nel loro insieme.

Non generalizzare in base a un gesto che osservi, è uno degli errori più comuni. Il comportamento non verbale offre un insieme di indizi. Devi cercare la concordanza di indizi, letti nel suo insieme alla luce di ciò che sai della persona e del suo stato d’animo.

Hai presente quei giornalisti che prendono una frase e la tolgono dal contesto, cambiando interamente il senso dell’intervista? Capisci che se si può fare anche con le parole, col non verbale è ancora più facile stravolgere il senso di ciò che osservi.

Consiglio numero 2: osserva la coerenza

Uno dei modi in cui può essere utile osservare il comportamento non verbale è quello di capire se è coerente con il messaggio verbale. Se non è coerente, però, non lanciarti in interpretazioni fantasiose. Ti conviene dubitare solo di quanto detto a parole.

Consiglio numero 3: fai attenzione al contesto

Il comportamento non verbale dev’essere letto nel suo contesto. Una persona che è in ansia per un colloquio di lavoro potrà mostrare degli indizi di ansia legata alla situazione che possono essere letti come insicurezza generale come persona e poca fiducia nelle proprie capacità. Una persona che se ne sta rannicchiata con le braccia conserte potrebbe avere freddo se è inverno ed è all’aperto.

Solo con il tempo e la pratica, usare il linguaggio del corpo vi diventerà così naturale che potrete davvero “metterci l’anima”. Un’ultima avvertenza: le persone percepiscono più o meno consciamente quando state mentendo, per questo il linguaggio del corpo è molto più efficace quando è utilizzato per comunicare qualcosa che veramente desiderate, sentite o credete. Per esempio, se volete mettere qualcuno a suo agio, dovete trovare qualche tratto della sua personalità che genuinamente vi piace e pensare a questo mentre gli/le sorridete, annuite a ciò che dice, puntate i piedi verso di loro, vi sporgete in avanti e ponetele vostre spalle all’indietro. Se infatti trascurate l’aspetto mentale e vi impegnate solo a mettere in pratica le “tecniche”, gli altri se ne renderanno conto e di conseguenza non avrete l’impatto sperato.